Giada

La notte in cui mi è stata tolta la libertà, per sempre, è datata Luglio 2018.

Ho 17 anni, vado da una delle mie amiche più strette, particolarmente contenta, perché finalmente, dopo un’estate passata a non fare nulla, quella sera, vengono a trovarci degli amici che vivono a Milano, che non vedo da tanto.

Doveva essere una semplice serata di diciassettenni che si vogliono divertire, ma si è trasformata in qualcosa di più, di molto di più.

Insieme al gruppo c’è anche un altro ragazzo, che non conosco. Si mette spesso al centro dell’attenzione, ma sembra simpatico.

Siamo riuniti in una villetta sul mare. Scendiamo sulla spiaggia e, seduti sugli scogli, iniziamo a bere ogni tipo di alcolico. Chi più, chi meno.

Seduti in cerchio parliamo, scherziamo e guardiamo le stelle. Ad un certo punto un’amica del gruppo, propone di giocare a obbligo o verità.

Iniziamo a turno a scegliere, di rispondere a verità o di sottoporci ad un obbligo.

Man mano che andiamo avanti, però, tutti propongono cose sessuali.

Io dico subito, senza vergogna “Ragazzi, io non sono mai andata oltre un bacio e non voglio giocare con queste cose così spinte.”

Arriva il mio turno e mi dicono “Giada, devi allontanarti 5 minuti con Marco, non devi fare nulla, solo stare un po’ con lui”.

Non ci trovo nulla di male nell’appartarmi con quel ragazzo, che si mette al centro dell’attenzione.

Cosi ci allontaniamo e ci sediamo su uno scoglio, non molto lontano dagli altri.

L’unica luce è data dalla luna, una bellissima luna piena, riflessa sul mare, calmo come una tavola. L’atmosfera per me, è anche romantica.

Dopo pochi minuti che siamo lì, avvicina il suo viso alla mia bocca.

Mi lascio baciare.

Poi, inizia a toccarmi, io non voglio andare oltre. Gli tolgo la mano. Lui insiste e io gliela tolgo di nuovo. E cosi, ancora e ancora. Inizio ad avere paura, mi alzo di scatto e dico “Dai, basta! Torniamo dagli altri”. A quella mia frase lui mi tira giù, con violenza. Mi sbatte contro gli scogli. Mi esce sangue da più parti, non riesco neanche a capire da dove.

Da quel momento mi si annebbia la mente, forse il mio cervello tenta di difendermi, ma non riesce a cancellare tutto.

Si slaccia i pantaloni e mi tira dai capelli, mi strattona da una parte all’altra, mentre piango e lo imploro di fermarsi.

Prego con tutta me stessa che qualcuno mi senta e venga ad aiutarmi.

Lui non si ferma, nonostante le mie lacrime e le mie urla.

Continua, continua, fino a lasciarmi inerme.

Guardo il cielo, la luna, mentre lui mi annulla e mi uccide, da dentro.

Terminato il suo schifoso “lavoro”, raccolgo le ultime forze rimaste e non so come, riesco a scappare.

Torno a casa a piedi, quella notte, scalza e sanguinante. Le macchine mi passano di fianco, incrocio persone, mi sento in una bolla, non sento altro che dolore, un dolore straziante.

Arrivo a casa, piango disperata come mai in vita mia, mi chiudo in bagno e vomito anche l’anima. La notte non chiudo occhio, come nelle settimane successive.

Non mangio più, non mi alzo dal letto e solo vedere il mio riflesso allo specchio mi provoca disgusto.

Non mi sento più io, un corpo senza nessuno dentro, senza vita, sporca, in mille pezzi.

Il tempo scorre e quella sensazione resta viva, non passa.

Cerco mille scuse, mi dico, era ubriaco, non sapeva quello che faceva, è stato l’alcool, non lui.

Ma la verità è che non ci sono giustificazioni, ubriaco o sobrio, il NO è NO.

Quel no, non gli importava, voleva fare quello che voleva, indipendentemente da cosa volessi io. Tante volte mi chiedo, avrei potuto fare di più? Poi penso che più di urlare, piangere, dimenarmi e gridare, sperare che qualcuno mi sentisse, e tentare di suscitare un minimo di umanità in lui, altro non potevo.

Mi sento violata, vuota, provo vergogna, mi faccio schifo.

Non riesco più a guardarmi allo specchio, il dolore mi squassa il petto, è senza fondo.

Nei giorni successivi scopro che i miei amici, quella notte, mi sentono urlare, ma decidono di non fare nulla, di abbandonarmi, anche loro, di ignorare le mie urla. E cosi mi sento ancora più sola.

Diventa tutto un buco nero, in cui cado, sempre più giù.

Ho paura di tutto, nessuno può toccarmi o avvicinarsi a me, è un incubo, dal quale so che non mi sveglierò.

Il senso di colpa mi dilania.

Mi dico, dovevo controllarmi, se non avessi bevuto così tanto, magari non sarebbe successo, continuo a ripetermi, se solo quella sera fossi rimasta a casa, avrei ancora la mia vita, sarei una normale adolescente, e potrei fare cose che fanno tutti.

Penso che io e le ragazze nella mia situazione, dobbiamo metterci in testa che non abbiamo nessuna colpa, non importa come siamo vestite, non importano le circostanze, non importa l’età, e non importa il rapporto che si ha con il ragazzo, un atto del genere non ha giustificazioni.

È passato un anno, il dolore non passa, si attenua nel tempo, tanto tempo, ma è sempre lì.

Le ricadute ci sono, i ricordi, le immagini sono ancora strazianti e vive nella mia mente, questo dolore fa parte di me, ma voglio lottare, nonostante a volte non trovi un motivo per continuare a vivere.

Quella notte, un ragazzo ha deciso di cambiarmi la vita, di prendersi una parte di me.

Giada