Veronica

Mi chiamo Veronica, ho 26 anni. Sono un’ estetista e ho una bambina piccola, Licia, di quasi due anni.

Quando tutto è iniziato, eravamo a cena. Io e Adriano seduti ad un lato del tavolo, di fronte a noi, i suoi due fratelli. 

Diego, il più piccolo dei tre è il peggiore. Un ragazzino, sempre ubriaco e strafottente. Quella sera, non aspetta un secondo di più, appena Adriano finisce l’ultimo sorso è pronto a versare vino fino all’orlo, attentissimo.

Il bicchiere di mio marito, grazie a lui, sempre stracolmo. Fiumi di alcool accompagnano tutta la cena. Osservo in silenzio, turbata. Non è proprio il massimo vedere il proprio uomo tracannare tutto quell’alcool, come nella peggiore delle cantine, frequentate da ubriaconi. 

Adriano è particolarmente euforico, deve aver avuto una giornata pesante a lavoro e ha deciso di svagarsi, a modo suo. Si è trasferito in Italia, dalla Romania e ha trovato lavoro in un cantiere, fa il muratore. 

Evidentemente su di giri, continua a dire stronzate, rivolgendosi all’altro fratello, Marcus.

«Dai coglione, prendi un po’ di vodka, che qui il bicchiere piange. Cazzo fai? Mi lasci senza? È ancora così presto». Il solito mezzo deficiente, penso, anzi, senza mezzo

«Adriano, basta!» Gli ripeto più volte, preoccupata dal suo modo, fuori controllo. È l’ennesimo tentativo di farlo desistere. «Sei ubriaco! Stai esagerando». «Stai zitta, tu. Non dire puttanate, come al solito», replica Adriano. 

Nulla da fare, sempre la stessa storia, cafone di basso borgo. Il mio ricorrente pensiero, mentre una fitta mi stringe lo stomaco, ogni qual volta mi manca di rispetto. Calma, Veronica stai calma, mi dico, non cadere nelle sue provocazioni. Cerco di ripetere a mente i consigli che mi ha dato Marzia, stamattina, al telefono. Lei da buon avvocato mi consiglia di agire con lucidità. Ma è pur vero che lei ha a che fare con uno stronzo, che la ignora, io invece sto con uno psicopatico. Ho paura delle sue reazioni e della sua capacità di ferirmi. Mi azzittisco, ho imparato a tacere. 

Prendo tempo, per non pensare, camminando per la casa. Passo in bagno, aggiusto il trucco dei miei grandi occhi azzurri, do una pettinata ai miei neri, capelli lunghi. 

Poi passo in cucina. Li evito.

Fine della cena. Diego e Marcus ci salutano, la bambina si è addormentata, nonostante il loro continuo vociare con schiamazzi e risate, noncuranti, per tutta la serata, dell’orario problematico, per una bimba, come Licia. 

Lasciano un casino da ripulire, sul tavolo, pentole di sugo, piatti colmi di resti di cibo, puzza di pesce. Mi tocca rimettere tutto a posto. Sono intenta a togliere i bicchieri, mi giro verso il lavandino e Adriano si avvicina con lo sguardo incazzato. È innervosito dal mio continuo modo di mettere in evidenza ciò che mi disturba, i fumi dell’alcool hanno preso una piega cattiva. 

«Brutta puttana, non ti devi permettere di dirmi cosa devo fare, hai capito?». Ha gli occhi da pazzo. «Ma cosa ti ho fatto? Adriano, ti prego, calmati», cerco di difendermi. A queste parole, porta indietro il braccio e mi sfodera un bel destro, a cinque dita, in pieno viso. Terribile. I capelli, per la violenza dello schiaffo, mi coprono il viso. 

Parte all’attacco, come un animale. Cerco di evitare i colpi, ripiegata su me stessa. Calci e pugni. Riesco a proteggermi la faccia con le mani e strillo con tutta la forza che ho «Aiuto, sei impazzito? Smettila, ti prego, non ti ho fatto niente, mi fai male».

La bambina sente le grida e si sveglia. Inizia a piangere, un pianto disperato. Piango anche io, tento di fermarlo, non ci riesco. «Brutto stronzo, smettila! C’è la bambina!», gli urlo.

Lui si calma, come se si rendesse conto all’improvviso di cosa stesse combinando. 

Si gira e se ne va. Sono piena di lividi, continuo a piangere, stremata in ginocchio, di spalle al muro. Si dirige in cucina e si siede sulla sedia, si accovaccia, con le mani tra i capelli e gli occhi chiusi.  Per una manciata di minuti si sente solo il rumore dei miei singhiozzi, dopo di che Adriano sussurra a voce bassa «Scusami ho sbagliato. Ho esagerato nel bere. Non succederà più».

Gli credo. Le ultime parole. È l’inizio della fine. Del mio maledetto incubo.